Care figlie, con l’aiuto di Gesù desidero spiegarvi le beatitudini. I cinque atti della povertà di spirito, che è la prima beatitudine, sono: rinunciare nel proprio spirito alle cose terrene; rinunciare di fatto, per amore di Dio, alle cose che si possiedono; purificare l’anima della vanità, disprezzando gli onori del mondo; liberare lo spirito dalla volontà e dal giudizio proprio quando non sono conformi a quelli di Dio; rinunciare a se stessi riconoscendo di non possedere alcunché di proprio che sia buono.
Figlie mie, sono questi i cinque gradi eroici della povertà in spirito. Noi, Ancelle dell’Amore Misericordioso, poniamo attenzione all’esempio che di questo ci ha lasciato Gesù, nostro buon Maestro. Se lo seguiamo, Egli ci promette in premio di farci eternamente felici.
Gli atti eroici della seconda beatitudine, la mansuetudine, sono tre: reprimere l’ira nei suoi impulsi interni ed esterni; essere affabili con tutti; non ricambiare male per male, né opporsi con violenza a chi ci ingiuria. Imitiamo gli esempi del buon Gesù, che ci dice: "Imparate da Me, che sono mite ed umile di cuore".
Gli atti eroici di chi piange, terza beatitudine, sono quattro: porre un freno al nostro ridere, allo scherzo e al divertimento; piangere sui nostri peccati, come fece San Pietro; piangere sui peccati altrui; piangere sul nostro esilio, perché ci tiene lontani dalla Patria celeste, nella impossibilità di vedere Dio e in pericolo di fargli dispiacere a causa delle nostre passioni che, come fiere, ci accompagnano, aggrediscono e seducono.
Osserviamo il nostro buon Gesù che mai fu visto ridere, mentre più volte fu visto piangere. Egli ci dice quale sarà il premio o il castigo: "Guai a voi che ora ridete, perché poi piangerete!". Gli atti della virtù della quarta beatitudine, la giustizia, sono cinque: compiere fedelmente, senza tralasciarne alcuno, i nostri doveri verso Dio e verso il nostro prossimo; desiderare di crescere sempre più nelle virtù; avere fame e sete di giustizia; avere una fame insaziabile di ricevere Gesù Cristo, nostro Signore, nell’Eucaristia e spiritualmente; desiderare con amore di ricevere la corona della giustizia, anelando a vedere Dio. In questo consiste il fervore dello spirito.
Consideriamo l’esempio di Gesù, che dice: "Mia volontà è fare la volontà del Padre mio". "Ho sete!". Qual è la nostra sete più ardente? Quella di amare? Il nostro desiderio è di far piacere a Dio? Figlie mie, il premio sarà la sazietà di doni, di grazie e di gioie interiori dello spirito, perché il Signore si dona ai giusti, in cibo durante questa vita e in visione nell’altra. Egli ci ha indicato anche il castigo: "Guai a coloro che sono sazi, perché avranno fame!".
Gli atti di virtù della misericordia comprendono quelle che chiamiamo le quattordici opere di misericordia. Queste consistono nel soccorrere il nostro prossimo in ogni sua miseria spirituale e corporale, senza fare eccezioni, e di soccorrerlo con sentimenti di compassione e lo sguardo rivolto al nostro divino Maestro. Gli atti e le condizioni dei puri di cuore sono due: purezza del cuore da ogni peccato e semplicità del rapporto con Dio e con gli altri uomini.
Teniamo presente, figlie mie, che sul monte del Signore salgono solo coloro che hanno mani innocenti e cuore puro. I gradi della pace, come beatitudine, sono quattro: pacificare se stessi, ossia assogettare la carne allo spirito; far pace e unione con gli altri; pacificare gli uomini tra di loro e con Dio. Il premio consiste nell’essere chiamati figli di Dio; ciò significa che Dio avrà per essi un amore speciale.
Figlie mie, non dovete confondere la pace con la tolleranza dei difetti, dei peccati o di cose mal fatte; sarebbe un errore e significherebbe non amare né Dio né il prossimo. La carità e il vero amore, infatti, non scendono a patti con il male, l’inganno e il peccato. In una parola, pacificare le anime con Dio significa volgerle al bene, non permettendo che facciano il male. La carità ci insegna che se amiamo il nostro prossimo cercheremo di togliere da lui tutto ciò che gli impedisce l’unione con Dio.
Soffrire persecuzione per la giustizia, come beatitudine, è sopportare con pazienza e letizia ogni ingiuria e afflizione che il demonio, nemico della virtù, e gli uomini, nemici del bene, ci procurano, non a causa dei nostri delitti, ma della nostra fede, della religione, del compimento dei nostri doveri di professione religiosa. L’esempio ci viene dallo stesso Gesù nei tormenti da Lui sofferti. Figlie mie, sono premio a questa virtù la gioia e la pace della vita eterna. (El pan 8, 1001-1010)
Di solito il nostro amore a Dio è un misto di amor puro e di amore di speranza; ossia amiamo Dio non solo perché è nostro Padre infinitamente buono, ma anche perché è la fonte della nostra felicità. Questi due motivi non si escludono a vicenda, perché Dio stesso ha disposto di farci incontrare la nostra beatitudine nell’amarlo e servirlo. (El pan 15, 77)
Rendiamo credibile, figlie mie, la nostra amata Congregazione con la santità delle nostre azioni e per questo dobbiamo vivere con il cuore riposto nelle cose del cielo, ardere nel fuoco della carità di Dio e, trasfigurate dall’azione di queste virtù, arriveremo a essere luce e guida per i nostri fratelli aiutandoli ad arrivare al possesso della beatitudine e noi potremo avere la fortuna che il buon Gesù ci voglia ricompensare con il possesso di quella patria dove la fede perde tutti i veli, la speranza resta pienamente soddisfatta e la carità si consuma nell’amore eterno, nella visione beatifica. (El pan 20, 274)
Il mondo, sempre assetato di concupiscenza, susciti in noi solo tedio e ripugnanza. Il nostro atteggiamento e il nostro modo di agire siano per il mondo e per i mondani espressione di condanna dei loro vizi e disordini. Per ottenere questo è necessario che non dimentichiamo mai che siamo stati chiamati ad essere la luce del mondo. Luce per tutti quelli che ci avvicinano e vedono le nostre buone opere, effetto della grazia e della virtù che Dio infonde nell’anima che, per amor suo e della sua gloria, disprezza il mondo e le sue vanità e si consacra a Dio e all’esercizio della carità.
Che altro ci resta da fare per essere luce e condurre a Dio il nostro prossimo? Santificarci. La santità, infatti, produce in coloro che la vedono una profonda impressione e li porta ad ammirare a stimare la religione che sa infondere così solide virtù. E’ questo senza dubbio il mezzo più efficace per suscitare nelle anime timide il coraggio di lottare contro la tirannia del mondo e il rispetto umano. (El pan 15, 39-40)
Il desiderio della perfezione si può così definire: un atto della nostra volontà che, sotto l’impulso della grazia, aspira incessantemente alla nostra crescita spirituale. Sovente questo atto è accompagnato da emozioni ed affetti che aumentano notevolmente il desiderio, ma che non sono in alcun modo necessari.
L’origine principale di questo desiderio è Dio che ci ama fortemente, vuole essere unito a noi e ci cerca con amore instancabile, come se non potesse essere felice senza di noi. D’altra parte, quando la nostra povera anima, illuminata dalla luce della fede, si volge a se stessa, là nel proprio intimo sente un vuoto talmente grande, che comprende non poter essere colmato che da Dio. Così anela ardentemente a Lui, all’Amore divino, alla perfezione e, come cervo assetato, alla fonte dell’acqua viva. Siccome qui sulla terra mai potrà essere saziato questo desiderio, perché sempre rimane del cammino da percorrere per arrivare alla pienezza dell’unione con Dio, avviene che, se noi non lo ostacoliamo, questo amoroso desiderio della nostra perfezione per la gloria di Dio, crescerà continuamente. (El pan 15, 148-149)
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